L'ERBA NEL TENNIS È LEGALE (CHISSÀ PER QUANTO)
La mia paura più grande è quella di vedere Wimbledon fare la fine del Gran Premio di Montecarlo.
Ciao! Questo è Demi-Volée, la newsletter che prova a raccontare il lato nascosto del tennis. Perché è bello vedere Sinner diventare numero 1, ma come ci è arrivato? Chi sono le figure che lo accompagnano? E com’è la vita di un tennista di seconda fascia? Ma soprattutto: cos’è il pickleball?
IL MIO RAPPORTO CON WIMBLEDON
Alla fine di ogni slam solitamente ho un momento di rifiuto per il tennis. Se mi chiedete che tornei ci sono a febbraio dopo gli Australian Open ci devo pensare un attimo, così come in quel periodo grigio dopo Wimbledon in cui praticamente c’è di tutto tra: l’erba di Newport, i primi tornei sul cemento americano e gli ultimi sulla terra; è quel momento in cui ogni anno confondo Gstaad con Båstad. Gli Slam sono una scorpacciata di tennis - fatta di match importanti, lunghi, appuntamenti con la storia e magari anche qualche sveglia pazza - da cui ho bisogno di staccare un attimo.
Dopo il Roland Garros la sensazione è più o meno la stessa (tanto dipende dall’esito della finale), ma è tutto molto più confuso: sono abbastanza saturo, ma voglio vedere subito chi si presenta bene in vista di Wimbledon; negli occhi ho le immagini di scambi lunghi ed epici e se da una parte non posso pensare di vedere Opelka fare 25 ace a partita, dall’altra ho voglia di vedere anche qualcosa di diverso (tipo questa cosa che ha fatto Alcaraz di cui francamente faccio fatica a capacitarmi).
Quello che ho con Wimbledon è un rapporto particolare che provo a spiegare con qualche piccolo aneddoto personale (senza che nessuno me l’abbia chiesto):
Ho una tradizione solo mia: non mi perdo il primo e l’ultimo punto del torneo che viene trasmesso in TV da circa 20 anni. Su questa avevo anche una postilla per i tempi delle superiori, un’eccezione secondo cui veniva contato il primo punto giocato sul Campo Centrale nel caso in cui dovessi uscire da scuola dopo le 13 (i match sul Centrale iniziano alle 14, ora italiana);
E se - causa lavoro - non tutti gli anni sono riuscito a garantirmi uno schermo (anche piccolo) davanti a cui sedermi per rispettare la tradizione del primo punto del torneo, la finale maschile non me la perdo dal 2004. E non è accettabile guardarla al telefono mentre sono al mare. Anche a 16 anni, nel momento di maggiore attenzione alla socialità che la maggior parte di noi ha vissuto, alle 14.30 mettevo in moto lo scooter, salutavo la spiaggia, i miei amici (alcuni appena arrivati) e tornavo a casa pronto per godermi la finale (possibilmente da solo);
Ho scritto la tesi su Wimbledon. Avendo studiato mediazione linguistica, decisi di tradurre tre capitoli di Wimbledon: The Official History, di cui non esiste una versione italiana;
Solitamente non sono così tanto attaccato ai risultati. Wimbledon è l’unico torneo in cui più o meno riesco a ripercorrere l’Albo d’Oro (maschile) andando indietro fino a una cinquantina d’anni fa (flex);
Da piccolo prediligevo pantaloncini e/o magliette bianche. Forse era il mio sogno di giocarci che faceva capolino e mi chiedeva di abituarmi a vestirmi di bianco. Spoiler: non è successo…ancora.
E nell’attesa che un giorno magari succeda il miracolo, due anni fa ci sono andato con un mio amico, facendo la famosa fila dalla sera prima per il weekend centrale.



È una sorta di sudditanza. Insieme alle giornate al Foro Italico, guardare Wimbledon in TV con il commento di Rino Tommasi e Gianni Clerici è stata una delle cose che più mi ha stregato, uno di quei momenti decisivi che portano le relazioni al livello superiore.
Dipende tutto da Wimbledon
La mia riverenza per Wimbledon immagino che sia piuttosto comune e penso anche che sia l’unica ragione per cui esistono ancora 5-6 settimane all’anno di tennis su erba. Il fatto che sia (suppongo) ancora il sogno della maggior parte dei bambini che coltivano una passione per il tennis, fa sì che l’immaginario non possa essere tradito e, nella pratica, che venga anche perdonato all’erba di non essere sempre divertente come le superfici più lente (poi tanto dipende dagli accoppiamenti che i tabelloni sono in grado di offrire).
Paradossalmente l’erba è tutto ciò che il grande pubblico non vorrebbe: pochi scambi, poco gioco al volo rispetto al passato, troppa importanza al servizio, poco spettacolo tecnico. L’esempio che ogni anno non manca mai su Sky Sport è il cambio nel consumo dei campi, che oggi rimane rilegato alla linea di fondo a differenza del passato.
I dati ci dicono che gli scambi da 0–4 colpi rappresentano circa il 70% del totale sia a Wimbledon che al Roland Garros, ma per me è più come viene interpretato il gioco: sull’erba ci si può permettere anche di tirare qualche colpo più potente e casuale, con la speranza concreta che non torni indietro (a differenza della terra); se oggi qualcuno tira un servizio a 230 km/h e scende a rete, lo fa quasi più per istinto che per schema.
Non voglio essere frainteso: Wimbledon non è il Montecarlo della Formula 1, dove invece è assente qualsiasi tipo di logica competitiva in nome dello spettacolo di ciò che c’è intorno all’evento. Il GP di Monaco sta vivendo il momento di peggior flessione nella sua storia, essendo ai limiti di un’esibizione, un raduno di monoposto che resiste grazie - in gran parte - all’esistenza stessa della F1. Nel caso di Wimbledon è il contrario: gli altri tornei su erba (che sono aumentati negli ultimi anni) esistono solo perché esistono i Championships e l’All England Club: Wimbledon non sopravvive nonostante l’erba, ma è l’erba a sopravvivere grazie a Wimbledon.
È quasi una liturgia, un rito che tiene insieme l’intera tradizione del tennis. Anche quando il tennis cambia, anche quando le superfici si omologano, anche quando sembra che tutto debba tendere all’efficienza, alla ripetibilità, Wimbledon resta fedele a un’idea. È un pezzo di storia che si rifiuta di diventare solo “attualità”.
La mia paranoia è che l’approccio ad alto rischio e “casuale” al tennis su erba e la necessità di creare spettacoli pirotecnici a tutti i costi (vedi il doppio misto agli US Open) finiscano per renderla illegale, compromettendo la presenza del torneo di Wimbledon nel circuito.
Ma forse è la mia sudditanza a farmi pensare troppo.
SONDAGNINI
Cose interessanti che ho letto, visto, ascoltato
Questa settimana abbiamo festeggiato il 15° anniversario dalla partita più lunga della storia: Isner-Mahut. Qui se volete velocemente ripercorrere alcuni dei momenti di quella partita durata tre giorni. Se invece avete più tempo, vi consiglio Gravity, un podcast di qualche anno fa in cui Sandro Veronesi ripercorre quello che è successo nel mondo in quei tre giorni mentre il campo 18 ospitava uno degli eventi sportivi più assurdi di sempre.
L’avversaria di Aryna Sabalenka al primo turno sarà Carson Branstine, canadese classe 2000, numero 197 WTA, che riesce a sostenere i costi della sua carriera facendo la modella. Ah è anche laureata e un paio di anni fa, a causa degli infortuni è stata fuori circa un anno che ha impegnato affiancando un avvocato (la professione dei suoi sogni).
Sicuramente l’avrete visto già tutti, ma mi sono gasato troppo per non divulgare anche qui il video dell’allenamento tra Sabalenka e Sinner.
Jan Zielinski l’anno scorso ha vinto due dei quattro Slam in doppio misto, ma quest’anno non potrà partecipare agli US Open e se ne è - giustamente - lamentato.
A Wimbledon le qualificazioni non si giocano nello stesso circolo dove si tengono i match del tabellone principale (è una questione di conservazione dei campi, anche se poi i top player hanno accesso per un solo allenamento ai campi dell’All England Club: per il content questo e altro). Quando però ti qualifichi ti consegnano un premio, giusto per ricordarti cosa stai per vivere.
Mi chiamo Andrea Lavagnini.
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