TORNEI LUNGHI VS TORNEI BREVI
La settimana di Montecarlo mi ha fatto ricordare quanto siano belli i Master 1000 che durano una settimana.
Ciao! Questo è Demi-Volée, la newsletter che prova a raccontare il lato nascosto del tennis. Perché è bello vedere Sinner diventare numero 1, ma come ci è arrivato? Chi sono le figure che lo accompagnano? E com’è la vita di un tennista di seconda fascia? Ma soprattutto: cos’è il pickleball?
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ANCHE QUESTA SETTIMANA PARTIAMO DA UN RICORDO
Roma, maggio 2003. Per la prima volta vado a vedere un torneo dal vivo. Anche all’epoca gli Internazionali d’Italia si giocavano su due settimane, ma con una programmazione diversa da quella “combined” di oggi: la prima settimana si svolgeva il torneo maschile e la seconda quello femminile.
Quella al Foro Italico era una giornata che aspettavo tutto l’anno come se fosse Natale; prima di risalire sul pullman del ritorno facevo il puntuale piantino malinconico perché sapevo che avrei dovuto aspettare tanto tempo per riviverla. Poi per qualche anno babbo si accollò di portarmi anche la settimana dopo alla finale femminile, nel tentativo di farmi consumare tutta la voglia di tennis che avevo accumulato nei 12 mesi precedenti. Spesso piangevo anche lì.
Erano giornate intense per gli spettatori, sia perché si partiva alle 6 in pullman da Piombino e si tornava alle 2 della notte, ma anche perché i match interessanti si accumulavano fin dai primi giorni, scontri tra titani su campi secondari in cui era possibile accedere solo con il biglietto ground, facendo un po’ a gomitate con la calca di gente. E la concentrazione di match imperdibili si viveva anche da casa, facilitati però dalla possibilità di cambiare canale a seconda del punteggio sui singoli campi.
Negli anni successivi il torneo femminile venne inglobato nella stessa settimana di quello maschile. Nella programmazione non cambiò molto perché si allungò solo di un giorno la durata del torneo: dalla domenica alla domenica.
Adesso, invece, dura 13 giorni. Gli Internazionali BNL d’Italia è uno dei nove Master 1000 della stagione e quasi tutti sono organizzati su due settimane per permettere una partecipazione più ampia. Infatti si è passati da 64 a 96 partecipanti (32 teste di serie come negli slam, che però sono posizionate già un turno avanti), così da:
dare la possibilità anche a giocatori con classifica più bassa di entrare in tabellone o di giocare le qualificazioni, garantendosi un’entrata cospicua e “più facile”;
avere più introiti dalla biglietteria e più distribuzione del pubblico lungo l’intera durata del torneo (anche se a Roma negli ultimi 10 anni è stato un macello per la concentrazione del pubblico agli impianti; forse quest’anno con l’ampliamento potrebbe andare meglio);
garantire ai giocatori e alle giocatrici un giorno di riposo tra un turno e l’altro (giocano un giorno sì e uno no) e diluire lo stress fisico e quindi ridurre gli infortuni.
Questo terzo punto è quello più importante perché veniamo dalla finale di Montecarlo in cui Musetti non è riuscito a giocarsi tutte le possibilità contro Alcaraz a causa di un infortunio che sembrava proprio il risultato di una settimana dispendiosa.
E quindi bravi ATP e WTA, no?!
Di base, direi di sì. Tuttavia questa nuova calendarizzazione dei singoli tornei non mi rende così entusiasta.
Come sapete questa newsletter è alimentata dalla mia passione per quello che non si vede sul campo, ma anche io - come potrete immaginare - guardo il tennis in tv. E l’emozione di questa edizione di Montecarlo non la provavo da un po’. Durante Indian Wells e Miami non ero così attaccato al telefono per vedere i risultati, né controllavo più volte durante il giorno l’uscita del programma del turno successivo.
Sicuramente avranno contribuito il fuso orario o la mancanza di italiani nelle fasi finali, però è anche vero la scarsa densità di match temo che non mi abbia fatto appassionare. Per fare degli esempi concreti questa settimana a Montecarlo abbiamo visto:
Martedì (secondo turno): Zverev-Berrettini, Griekspoor-Fils, Jarry-Dimitrov;
Mercoledì (terzo turno): Cerundolo-Alcaraz, Rublev-Monfils, Machac-De Minaur;
Giovedì (ottavi): Rublev-Fils, Berrettini-Musetti, Dimitrov-Tabilo; De Minaur-Medvedev.
In genere nei Master 1000 (a esclusione di Montecarlo e Parigi Bercy) per sperare di vedere questi match devi aspettare come minimo una settimana dall’inizio del torneo, non due o tre.
E benché i primi giorni dei tornei stiano rischiando di essere meno interessanti, gli organizzatori stanno continuando il loro processo di espansione del proprio calendario. Un esempio è quello dei due 1000 di Cincinnati e Toronto, che pur di allungare il brodo, giocheranno le finali rispettivamente di martedì e di giovedì.


E sicuramente vi ricorderete il grande “buzz” attorno alla notizia di un paio di mesi fa, secondo cui gli Internazionali BNL d’Italia avrebbero offerto 550 milioni di euro agli organizzatori del 1000 di Madrid per acquistare la loro seconda settimana e annetterla alle due di Roma. Una notizia che è stata fastidiosamente presentata come “il modo per avere finalmente la definizione di quinto Slam per Roma”.
Forse stiamo perdendo il controllo.
Ora, io non dico che dovremmo passare sopra la salute dei tennisti e delle tenniste, costi quel che costi. È anche grazie al lavoro dei team e delle federazioni che l’età professionale si è allungata tantissimo, permettendoci di godere molto più a lungo di tanti campioni e campionesse che in passato di sarebbero ritirati molto prima.
E, a quanto pare tanti giocatori sembrerebbero preferirlo. Rune (di cui non è che proprio mi fidi ciecamente) qualche settimana fa ha dichiarato che «il 99% dei giocatori preferirebbe i tornei più brevi. Penso che sia molto meglio per i giocatori e più divertente per i tifosi. È anche più interessante proprio perché è molto intenso. La maggior parte di noi, ormai, è così preparato fisicamente che possiamo gestire il fatto di non avere un giorno di riposo ogni volta che giochiamo una partita al meglio dei tre set.
Rune ha ricordato il suo percorso proprio a Roma dove ha raggiunto la finale nel 2023, proprio nel primo anno in cui il torneo era stato esteso oltre al formato come lo conosciamo oggi: «Ho giocato contro Novak ai quarti di finale e poi ho avuto due giorni di riposo. Poi ho giocato la semifinale, e dopo ho avuto un altro giorno di riposo. Sono tanti giorni di riposo, no? Negli Slam penso che sia giusto perché i match sono più lunghi, ma per le partite al meglio dei tre set, non ne vedo molto il senso.»
Ovviamente lui può parlare così anche perché la sua carta d’identità recita 2003 alla voce “anno di nascita”. Chissà se risponderà allo stesso modo tra 7/8 anni.
Tuttavia, Rune sembra non essere l’unico di questo parere. Nello stesso articolo in cui sono contenute le dichiarazioni del danese, troviamo l’opinione anche di Jessica Pegula. Anche lei conferma la teoria del 99% di giocatori/giocatrici non felici del format esteso, mettendo in luce anche un altro aspetto legato per esempio alle settimane che comprendono i 1000 di Madrid e Roma: «Se perdi presto e resti bloccata lì, penso che questo sia l’aspetto peggiore. Ovviamente, se vinci, non ti importa più di tanto. Ma se perdi presto, magari nella prima settimana, ti ritrovi in Europa per dieci giorni e pensi: ‘Cosa faccio per dieci giorni? Non posso tornare a casa [negli Stati Uniti, ndr].’ E questo può generare ansia. Sei più stressata, paghi di più per il coach e per chiunque faccia parte del tuo team ed è in giro con te in quelle settimane. Quindi no, non ne sono proprio una fan.»
E quindi??
Come sempre non ho un’opinione così definita e anche in questa edizione mi nasconderò dietro a delle considerazioni, così che anche voi possiate fare le vostre.
La prima riguarda il fatto che i professionisti si lamentano di avere una stagione troppo lunga e logorante (per quanto comunque tanti poi non siano coerenti con le proprie dichiarazioni andando a partecipare a esibizioni ovunque, ma questa è un’altra storia) e ritornare ai format “tradizionali” di svolgimento dei tornei si potrebbe ovviare a questo problema.
La seconda considerazione riguarda gli altri formati che stanno bussando alla porta dei circuiti ATP e WTA, con successi alterni. Un esempio è la Laver Cup, ma anche l’UTS, che forse ha più successo sui social che nella realtà.
La terza è quella che riguarda il pubblico. Nei paesi europei e sudamericani credo che l’intrattenimento nello sport passi inevitabilmente dalla competizione, mentre in altri luoghi come gli Stati Uniti, conta più lo spettacolo in sé che non l’aspetto tecnico. Magari vale la pena considerare questo aspetto per decidere il formato più adatto a uno o all’altro torneo.
Ovviamente non sono così complottista, né disfattista da pensare che si possa creare un circuito parallelo fatto dai e dalle più forti, come peraltro era fino a prima degli anni ‘70. Però credo anche che molto presto vivremo molta più varietà nei formati. Ad esempio: i tornei Futures, di cui abbiamo parlato due settimane fa, immagino che nel giro di qualche anno dureranno quattro giorni e si giocheranno con un sistema di punteggio ridotto, cioè tre su cinque con set vinto al quarto game, invece che al sesto, e tie-break sul 3 pari (è il punteggio delle Next Gen Finals e dei cosiddetti Rodeo che gli scarsi come me conosceranno bene).
Non so se sono pronto.
SONDAGNINI
Cose interessanti che ho letto, visto, ascoltato
Alla fine dei match, solitamente i giocatori e le giocatrici lanciano una pallina al pubblico. L’ha fatto anche Fils, che però l’ha steccata e ha rischiato di decapitare qualcuno nel pubblico.
Eva Lys ha detto che l’occhio di falco automatico sulla terra non si può vedere. E mi trova estremamente d’accordo.
È uscito il trailer della serie Netflix su Alcaraz.
Se penso a un troio del tennis penso a Marat Safin, uno dei miei giocatori preferiti di sempre, che è ritornato ritornato nel circuito in veste di coach sulla panchina di Rublev. Questo il suo mood.
Quanto sono matti i tennisti? Più o meno tanto così.
Mi chiamo Andrea Lavagnini.
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